3208.

In realtà volevo tornare scrivendo qualcosa su Shakespeare e su quello che ho studiato in questi due/tre mesi in cui sono sparita, ma poi, come ha detto la mia adorabile coinquilina, è successa una cosa un po’ strana.

Stavamo andando in lavanderia, visto che la lavatrice ci ha abbandonate, quand’ecco che lei mi comunica la sua intenzione di andare a farsi un tatuaggio la sera stessa. Non so che cosa mi sia passato per la testa in quel momento ma ho deciso di accompagnarla per farne uno anche io. Forse perché è da tanto che dico che lo voglio fare, forse perché a forza di seguire modelle tatuate su Instagram mi sentivo troppo pulita. Forse anche perché la piccola punk che è in me ha sempre voluto fare qualcosa di ribelle senza dirlo a mamma e papà, ma non ne ha mai avuto l’occasione.

Così abbiamo lavato allegramente le nostre cose, nel frattempo abbiamo cercato di capire cosa tatuarci, soprattutto perché nel mio caso serviva qualcosa di piccolo con un grande significato da mettere in un posto dove non si vedesse troppo.

Ancora incerte sul da farsi, ad un certo punto abbiamo chiamato uno studio di Milano per chiedere se potevamo presentarci lì senza preavviso e, ironia della sorte, era proprio l’unico giorno in cui dalle sette di sera quello studio faceva tatuaggi solo senza appuntamento. In poche parole era Dio che mi diceva di fare una cazzata e l’ho fatta.

 

Dopo un’ora di riflessione, una chiamata a mio cugino che ovviamente mi ha detto “No, aspetta, non lo fare.” e che ovviamente non è stato ascoltato, una chiamata a mio nonno con un pretesto stupidissimo perché volevo la certezza che fosse il numero giusto, ho deciso di tatuarmi 3208 sulla nuca.

Arriviamo allo studio alle sette e un quarto, comincio ad andare nel panico e a chiedermi cosa diavolo sto facendo ma nonostante questo, un quarto d’ora dopo sono pronta a fare il grande passo. Nonostante la mia paura folle degli aghi e del dolore, che alla fine non è stato poi così insopportabile. Anzi, per dire la verità, il primo numero non l’ho praticamente sentito. Ho cominciato a sentire un leggero fastidio al 2, ma ho sopportato, perché il bello di tatuarsi è forse proprio il dover sentire dolore per avere qualcosa per sempre sulla pelle; lo fai perché ci tieni e non ti importa che faccia un male cane.

Se qualcuno vuole saperlo, quella disgraziata di Erika si è tatuata un cervo e una cerva, qualcosa che c’entra con Harry Potter ma non so dirvi di più perché non sono una grande fan.

 

 

Ad ogni modo, parliamo un po’ di questo 3208, del perché, visto che qualcuno ha pensato che fosse il codice per sbloccare il mio cellulare e io stessa lo chiamo il mio numero di serie.

Volevo qualcosa che mi ricordasse casa, un posto felice, magari la mia infanzia e le persone a cui tengo di più. All’inizio pensavo che sarebbe stata una buona idea la skyline che si vede dalla finestra della mia camera (non so se l’ho mai pubblicata ma bella è bella, ve l’assicuro), solo che mi serviva tempo e dovevo pensarci un po’.

Quindi ho optato per l’altitudine di quel posto che tanto amo, che mi ricorda il nonno, casa, la piccola me e il fatto che ce l’ho fatta ad arrivarci anche se gli altri pensavano di no. E’ un numero che rappresenta tante cose.

Prima di tutto quel posto fuori dal mondo, il silenzio più totale, la pace dei sensi. Tutte cose che qui, come dico sempre, non ho più. Cose che mi mancano, che mi vengono in mente a caso mentre sto camminando al parco e mi fanno venire voglia di sedermi su una panchina a piangere.

Il nonno, che ha contribuito a rendermi quella che sono, insegnandomi attraverso la montagna che nella vita puoi arrivare dove vuoi, basta che vai avanti passo dopo passo senza mai retrocedere di uno. Non importa se ci metti un’ora o due giorni, prima o poi arrivi alla cima e non c’è soddisfazione più grande.

La piccola me, che vedendo le foto di quel posto (poi ne metto una ovviamente) non ha saputo resistere e ha voluto a tutti i costi andare a vederlo di persona, la piccola me che ascoltava il silenzio e prendeva il sole ridendo, fregandosene della vita che esisteva in un altro luogo nello stesso momento. La piccola me che ho scoperto rileggendo i diari ha sofferto molto più di quanto ricordassi, si è meritata di essere arrivata così in alto.

Quel traguardo irraggiungibile, che mi piaceva così tanto che non ho fiatato e ho faticato tre ore per arrivarci.

Era un qualcosa che non potevo non mettere per sempre sulla mia pelle come ricordo di quello che posso fare se voglio. Di quello che dovrei fare più spesso.

Tornando a casa per Pasqua ho casualmente ritrovato le fotografie di quel paradiso e mi sono quasi commossa.

 

Chiudo dicendo che aveva ragione Erika, è una droga, sto già pensando ai prossimi. Siccome è mia abitudine condividere tutte le mie idee sceme con chi mi legge, eccovi serviti:

  • voglio aggiungerci un cruciverba attorno, per ricordarmi anche della nonna che vive di Settimana Enigmistica.
  • l’orologio da taschino dell’altro nonno che purtroppo non ho mai conosciuto (non è una buona ragione per non portarlo sempre con me),uno di quei vecchissimi orologi che si caricano a mano e che la nonna mi lasciava usare come ninna nanna quando dormivo con lei. Le lancette puntate rispettivamente su 5 e 8, che sono appunto i numeri fortunati di me e nonna.
  • qualcosa per madre, padre e sorella, anche se non ho ancora deciso, così avrò completato la famiglia (poco attaccata a loro mi dicono)
  • la mia benedettissima frase, “I am not afraid to keep on living;” perché più ci penso più la voglio e meno paura ho effettivamente di vivere, anche se poi mi ricordo che devo fare gli esami del sangue e mi viene voglia di suicidarmi subito ed evitarmi un simile strazio.
  • cosa per il momento molto incerta ma mi piacerebbe una fenice da qualche parte, mi piace il concetto che simboleggia. Ma è forse troppo comune e banale per una come me.

 

 

Ora vi lascio, soddisfatta di essere riuscita a scrivere dopo tanto tempo, con una fotografia scattata vicino, ma troppo lontano. Mi siete mancati, tanto.

 

 

Ps. Nonni, se leggete non uccidetemi, vi voglio bene.