In ritardo come sempre.

Buongiorno, buonasera, buon qualsiasi cosa.

Chi vi scrive, scrive di nuovo tardi rispetto al corso degli eventi.

Oggi mi va di aprirmi e raccontare una cosa un po’ triste, che forse non ha senso. Sto scrivendo perché poco fa, da brava stalker che sono, sono finita sul profilo facebook di mio padre (anche se l’ho tolto dagli amici lo spio) e ho trovato questo: “Già 21 anni senza di te..ciao papà”.

Inutile dire che sono scoppiata a piangere come una bambina, non so nemmeno io se per il nonno che non ho mai conosciuto o per il dolore che mio padre, da bravo uomo, probabilmente ha nascosto.

 

Era il 15 settembre 1994 e mio nonno, Enrico, due anni dopo un ictus che l’ha lasciato senza metà del suo corpo e senza parole, si spegneva, lasciando mia nonna e mio padre, che è figlio unico. Mi hanno sempre detto che l’unica cosa che si aspettava ormai dalla vita ero io, che sono nata pochi mesi dopo, un lunedì di febbraio, in ritardo come sempre.

Due settimane dopo, il primo ottobre 1994, i miei genitori, nonostante tutto il dolore, si sono sposati. E poi, come già anticipato, sono nata io. Mia nonna mi ha ripetuto fino allo sfinimento che sono stata io la sua ancora di salvezza, una bambina nata con troppa fretta in anticipo di quasi un mese, che si rifiutava di dormire la notte (sì, già allora).

Ho sempre voluto conoscerlo, il nonno, che a quanto tutti mi dicono, era una persona davvero stupenda, che “se fosse qui” chissà quante cose avrebbe detto o fatto. Fin da quando hanno cominciato a portarmi al cimitero da lui è stata mia abitudine lasciargli qualche sassolino bianco sulla tomba, magari più di uno e tutti in fila, era il mio modo di dirgli che c’ero. E lo faccio ancora, quelle poche volte che vado a trovarlo.

 

Quest’anno era il 15 settembre e io non ero lì, bensì ero confinata nel mio bellissimo appartamento a Milano, nel grigio di un autunno che a parer mio è iniziato troppo presto e non ho nemmeno potuto portarglielo, un sassolino. Caro nonno, sappi che mi dispiace.
Forse è stupido da dire e da fare, ma fin da piccola sono stata convinta che lui fosse lì con me, che potesse sentirmi e che il più delle volte cercasse di proteggermi o di consolarmi quando piangevo per chi si ricorda quale motivo. Non posso non chiedermi se lui è anche qui, se mi guarda ancora, se è orgoglioso delle mie scelte, dei miei bei voti, se gli dispiace se a volte sono una stupida colossale. Mi chiedo se sa che il 15 settembre l’ho pensato più di una volta anche se non sono potuta andare a trovarlo quest’anno.

 

Eppure oggi, con la maturità di una bambina che forse sta crescendo, realizzo per la prima volta che la mancanza che sento io è niente in confronto alla mancanza che devono sentire mia nonna e mio padre.

Mia nonna, che nella vita ne ha viste di tutti i colori, chissà cosa deve aver provato quando lo ha perso, lei che da come ne parla doveva amarlo allo sfinimento, come se lui non fosse nemmeno umano. E probabilmente lui ricambiava, dovevano essere una coppia meravigliosa, lui alto e lei piccolina, vorrei poterli vedere e non soltanto attraverso una fotografia in bianco e nero sbiadita dagli anni.

Mio padre, che è una delle persone che stimo di più al mondo proprio perché ai miei occhi è una roccia incrollabile, chissà se ha pianto in quei giorni. Chissà se ha pianto scrivendo quello stato, chissà che cosa ha pensato e se almeno lui sa cosa penserebbe il nonno di me.
Per la prima volta, grazie alla lontananza da casa, capisco quanto mio padre significhi per me e non posso non chiedermi se anche lui ha capito quanto il nonno fosse importante soltanto quando lo ha perso, visto che non se n’è mai andato da casa, lui.

Poi, da brava pessimista, mi ricordo che un giorno anche io capirò che cosa ha provato davvero lui e mi viene soltanto voglia di abbracciarli tutti: la nonna che ha perso l’uomo della sua vita, papà e lo ammetto, tutta la famiglia, che mi dispiace aver abbandonato al freddo di un paesino di 250 anime mentre io sono a Milano a godermi un autunno che è sicuramente più caldo di quello di casa, nonostante il vento gelido.

 

Mi dicono che attraverso le mie parole la mancanza di casa si legge chiaramente, chissà se si legge anche nei miei sguardi o se sono davvero brava come credo a nascondere le lacrime e le emozioni.

Ma spero che almeno tu, nonno, possa capire quanto mi mancate, quanto vorrei poter parlare anche con te quando chiamo la nonna, quanto vorrei poterti vedere litigare con la tecnologia come sta cercando di fare lei, che ha anche imparato a leggere i messaggi sul cellulare e ora vuole a tutti costi comprarsi un tablet. Chissà se rideresti o se vorresti provarci anche tu. Chissà se un giorno, in una qualche altra vita, sempre se esiste, potrò finalmente vederti anche io, tra quei monti che a quanto mi dicono amavi con tutto te stesso, assieme a me e papà a camminare verso la cima per vedere l’alba.

 

Fino ad allora, in ritardo come sempre, mi manchi anche se non ti ho mai conosciuto, o forse proprio per questo.

 

 

 

Una risposta a “In ritardo come sempre.”

  1. Sei riuscita almeno per quanto riguarda il sottoscritto a trasmettere intense vibrazioni segno che hai fatto centro perchè forse nonostante le differenti storie tra il mio nonno e il tuo ho trovato molte analogie.
    Mi piacciono molto gli argomenti che tratti e soprattutto come riesci a svilupparli, ti ammiro tanto perchè mettersi in gioco parlando delle proprie esperienze personali non è mai semplice. Continua così. :)

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