Terza pagina.

 

 

Ho appena finito di mangiare insalata. E lo so benissimo che non importa ma mangiare insalata è il mio modo di allentare un po’ la tensione, poi mi sembrava un esordio carino.

Di cosa parlo oggi? Visto e considerato che nello scorso post ho parlato di scrittura, ora potrei aggiungere un’altra pagina in cui parlo di un altro grande amore della mia vita, a scelta tra lettura e musica. Sfortunatamente però, anche E. (che poi sarebbe l’unica persona che legge questo blog oltre a me e la ringrazio per questo) ha appena scritto una cosa su un libro, quindi per oggi mi accontento di scrivere qualcosa su qualcosa che ho scritto io in passato. Inception, più o meno. Si legge anche: preparatevi al post più inutile della storia dei miei post inutili.

 

Lasciando perdere la storia di pirati che ho scritto in quarta elementare (prima o poi giuro che la pubblico, sempre se la trovo), direi di soffermarci su qualcosa di più recente.

Premessa necessaria: non mi piace mai quello che scrivo, mi piace soltanto quando lo rileggo un bel po’ di tempo dopo.

Altra premessa: meglio per tutti che non vado in ordine cronologico perché sono la prima a non avere la minima idea di quando ho scritto cosa. Sono una persona strana? Probabilmente sì, ma per mia fortuna c’è gente che sa apprezzarlo.

 

Scorrendo tra le note sono riuscita a trovare la prima che ho scritto, esattamente il 17 giugno 2013 e sono curiosa anche io di vedere cos’aveva da dire la me di due anni fa.

Un inizio pessimo ed una fine altrettanto pessima, ho fatto di molto meglio, MA: «Una volta scrivevo, ora mi limito a rileggere tutto, sfiorando con timore le pagine del passato. E quelle del futuro restano bianche, chissà se un giorno riuscirò a riempirle o se toccherà a qualcun altro farlo per me.». Questa mi piace, mi faccio i complimenti da sola perché ogni tanto riesco a tirare fuori qualcosa di decente. Purtroppo per me ho una memoria davvero pessima quindi non riesco a ricordare in quali condizioni fossi quando è nato tutto questo ma con il senno di poi, che io apprezzo particolarmente, posso dire che quelle pagine bianche sono riuscita a riempirle, almeno un po’, spero di riuscire a continuare.

 

La seconda, pubblicata il giorno dopo, tratta il mio grande amore per la lettura, che spero sia ancora il grande amore di tante persone e non soltanto il mio. Senza sprecare tempo a commentare ogni singola frase (anche se sono poche), preferisco racchiudere tutto in una sola parola, l’ultima che ho scritto: Lib(e)ri. Questa è una bella fine, anche se fa un po’ ragazza di Tumblr che passa il suo tempo a comportarsi da dizionario multilingue alternativo dove tutto significa quello che vuoi lei. Non è così nel mio caso, ma in effetti nei libri ho sempre trovato tanta libertà. Ringraziamo per questo “Le Cronache di Narnia” e compagnia, un giorno ne parlerò, promessissimo.

 

Saltiamo, per carità, alcune cose che non ho nemmeno voglia di rileggere e passiamo a quella che qualcuno, ai tempi, ha definito una delle mie note migliori. Un fiammifero, l’ho chiamata così. Perché dal nulla praticamente, guardando un’immagine come tante altre, è capitato che mi venisse in mente che noi piccoli ed innocenti esseri umani siamo proprio come dei fiammiferi: «Siamo noi che dobbiamo avere il coraggio di uscire dalla nostra scatola e lasciare che il mondo ci ferisca per farci brillare. Siamo noi che abbiamo la libertà di rinunciare alla comodità del buio, siamo noi che dobbiamo sfidare la notte per vedere cosa c’è oltre.». Questo è il classico genere di cose che scrivo per me stessa, per ricordarmi che non devo arrendermi ed accettare le cose così come stanno, ma che devo combattere, farmi male se necessario, per provare ad avere qualcosa di più. Non sempre l’ho fatto ma mi fa piacere vedere, con il solito senno di poi, che la penso ancora così e che più di una volta ho dato retta alle mie parole.

 

La prossima è una di quelle che adoro di più, più o meno da sempre. L’ho scritta per un concorso (si vinceva solo la soddisfazione di aver vinto ma a chi importa) e, stranamente, ho deciso di pubblicarla come nota invece che nell’album dove ho messo tutto quello che ho scritto per concorsi di vario genere. Non c’era un tema, dovevo soltanto scrivere una lettera alla ragazza che aveva organizzato il concorso. Non è un argomento di cui di solito parlo, perché è una delle mie più grandi paure, ma quella volta ho scelto di scrivere della morte. Non per fare la persona macabra o che ne so, ma solo perché avevo paura, appunto. «Ho paura che al mio funerale non ci sarà nessuno, forse nemmeno la mia famiglia. Forse nemmeno ne avrò una quando morirò. Ho paura che, se qualcuno ci sarà, una volta che ognuno avrò buttato il suo piccolo pugno di terra sulla mia bara rimarrò sola; per sempre. Ho paura di rovinarmi la vita a forza di pensare al momento in cui la mia vita non ci sarà più.Ho paura di sentire il cuore che all’improvviso smette di battere, ho paura di capire che è finita.». Ecco, questo lo penso da quando sono in quarta elementare (avevo già scritto la storia sui pirati, tranquilli). La consapevolezza che un giorno non ci sarei più stata mi è saltata addosso dal nulla, mi ha rovinato la vita e non se n’è più andata. All’inizio sono rimasta sconvolta, non ero in grado nemmeno di mangiare. Non capivo che senso avesse vivere se tanto poi dovevo smettere. Capita ancora, a volte, che io mi fermi a pensare a tutto questo, a cosa succederà quando sarà finita e spesso, anche se non lo ammetto, ho paura non solo di morire, ma che la consapevolezza della morte rovini anche tutta la mia vita. Come ho scritto alla fine della nota, «Ma noi, abbiamo davvero paura del vuoto che potrebbe aspettarci dopo la morte, o siamo solo terrorizzati di quello che c’è prima?». Se qualcuno sa come farmi sentire meglio si faccia avanti.

 

Dal momento che mi voglio bene, salto quello che ho scritto per il mio cane, dato che non voglio finire in lacrime. Un giorno quando avrò la forza parlerò anche di lui.

 

Passiamo a qualcosa di più recente, ovvero Ombra, scritta a gennaio. Forse E., che sarà l’unica persona ad arrivare fin qui, l’ha addirittura già letta. «Ma più la luce è forte più l’ombra sembra scura. Più siamo felici, più tendiamo ad aver paura che qualcosa possa andare storto, tanto peggio è quando ci rendiamo conto che quel breve momento di spensieratezza è finito. Più vogliamo essere liberi, più ci imprigioniamo nel tentativo di esserlo davvero. Più rincorriamo quel sole lontano e stanco più ci rendiamo conto che non potremo mai raggiungerlo e più la nostra ombra si allunga, dietro di noi.». Questa non è l’unica frase a piacermi decisamente troppo in tutto questo, che è di nuovo una riflessione sulla morte ma stavolta molto più rilassata e meno diretta. All’inizio doveva essere qualcosa di molto più buio visto che l’ho scritta di notte, ma quel che viene viene e non voglio assolutamente lamentarmene.

 

L’idea iniziale era di concludere parlando di un testo che ho scritto per un concorso molto più importante, ma l’ho scritto troppo poco tempo fa e conoscendomi non mi piacerebbe. Inoltre, sto ancora aspettando di sapere se alla fine l’ho vinto io o no quel concorso. Anche se, su 560 partecipanti, non credo di aver avuto molte possibilità.

 

Quindi, la fine è sempre una citazione mia, che stavolta E. conosce di sicuro, anche se non l’ho ancora pubblicata da nessuna parte.

 

Chi ama non dorme, mi dicevo, ma poi ho chiuso gli occhi.

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