Siamo sopravvissuti.

Nello scrivere questo post ci immagino un po’ tutti seduti al bar a un metro di distanza a chiacchierare di come siano passati questi mesi. Un po’ stropicciati, stanchi, ma sopravvissuti e felici di berci un meritato caffè.

A partire da quel momento in cui sui giornali sono cominciate a uscire notizie su un virus che stava mettendo in ginocchio la Cina e ho pensato che beh, era lontano. E che beh, magari avrebbe un po’ rallentato questo mondo pazzo, permettendoci di prestare più attenzione all’ambiente. In effetti l’inquinamento atmosferico e le emissioni si sono ridotti di tantissimo.

Poi è arrivata la notizia del primo caso in Italia. Seduti a un tavolo in casa di un amico a mangiare la pizza del kebabbaro ci abbiamo riso su, discutendo se SkyTG24 sia effettivamente meglio di RaiNews24. Parrebbe di sì. Io ero addirittura tutta contenta di saltare lo stupido seminario fissato dalla prof per la settimana dopo, perché quasi subito in Lombardia sono state chiuse le università. Ancora non potevo immaginare.

Un po’ da incosciente, forse, ho continuato a vedere gli amici, a uscire il giovedì sera per il Cervellone, perché non sia mai che si manchi ai grandi eventi e avevamo una posizione in classifica da mantenere. Ho vissuto la mia vita con serenità, come se il virus fosse lontano anni luce. Invece no, era proprio dietro l’angolo.

Non mi sono alterata troppo nemmeno quando tutta la Lombardia è stata dichiarata zona rossa. In fin dei conti avevo altro per la testa, tipo la gatta da sterilizzare e il bancomat scaduto. Non era poi così importante, tanto tempo qualche settimana e avrei sfruttato il mio diritto di ritorno alla residenza. Pochi giorni prima che potessi effettivamente farlo, anche quello è stato vietato e sono rimasta bloccata lontana da casa. A tempo indeterminato. Sola.

Ok no, non proprio sola. Ho sempre avuto la coinquilina, il Coso e Aela al mio fianco, ma affrontare qualcosa che improvvisamente sembra così grande senza la vicinanza dei propri cari non è facile. So che venire a Milano è stata una mia scelta, che nessuno mi ha costretta ad allontanarmi dalla mia famiglia, ma ritrovarsi d’improvviso bloccati senza la possibilità di correre da loro è stato spaventoso. Sapere che qualsiasi cosa fosse successa a me o a loro non avrei potuto averli vicini è stato difficile.

Se ci fermiamo a guardare le cose come stanno, la mia vita non è cambiata di molto rispetto al periodo pre-lockdown. Ero appena uscita dalla sessione invernale, durante la quale è normale per me non uscire per giorni e giorni e non parlare quasi con nessuno, quindi non ho dovuto far altro che prolungare la mia reclusione (che dura tutt’ora, visto che appena finito l’obbligo di rimanere a casa è iniziata la sessione estiva).

Per il primo mese mi sono goduta il cazzeggio assoluto, scoprendo con mia grande gioia le dirette su Twitch. Ben presto ho cominciato ad annoiarmi. Non mi andava di leggere, di guardare serie tv, nemmeno di giocare a niente. Tutto quello che mi importava era di far passare le giornate. Fare la spesa era un vero incubo, spesso si trattava di affrontare due o più ore in coda prima di entrare e di trovare la metà delle cose che servivano. Il tutto ovviamente con addosso la mascherina e i guanti, che finché non ci si fa l’abitudine sono davvero scomodi.

Uno dei momenti più drammatici è stato Pasqua. Non sono mai stata credente, non me ne importa un fico secco della Pasqua in sé, ma è stata la mia prima grande festività lontana da casa. Abbiamo organizzato un pranzo su Skype, ma non è la stessa cosa. Figuriamoci poi quando mia madre si è offerta di farmi fare un giro in giardino a vedere il cane.

Con la dovuta calma ho poi cominciato a studiare per gli esami e a cercare di riprendere in mano la mia vita. Studio, scendere in cortile a camminare in cerchio, chiamare le persone a cui tengo, mangiare la pizza il sabato. Sembreranno cavolate, ma sono state le piccole cose a cui aggrapparsi che mi hanno aiutata a far passare giorno dopo giorno senza diventarci matta.

Per i primi tempi ci siamo ostinati a guardare il TG tutte le sere durante la cena, poi ci siamo accorti che ogni giorno si dicevano sempre le stesse cose e abbiamo smesso. Ancora oggi però alle 18 mi guardo il bollettino della Protezione Civile, in attesa del fatidico giorno in cui tutta Italia potrà vantare zero contagi. A oggi, lo saprete bene anche voi, non ci siamo ancora del tutto vicini.

Poi sono arrivati gli esami online. Al primo non ho retto, mi sono ritirata e sono scappata via. Non riuscivo a concentrarmi sulle risposte e avevo il terrore di fare una figuraccia davanti a tutti. Forse penserete che non è molto lontano da quello che succede a un esame in presenza, ma non vi so spiegare la sensazione orribile di sapere che tutti ti stanno fissando e sentono le tue risposte sbagliate. Il secondo è andato meglio, ero molto più rilassata, ma continuo a non riuscire a concentrarmi abbastanza per studiare.

A inizio giugno i confini tra le regioni hanno riaperto, ma immagino sappiate bene anche questo. Con un po’ di ansia e tanta felicità sono tornata a casa appena ho potuto. I mesi lontana sono stati cancellati dalle urla di gioia di mia sorella e dai salti del cane. Ci sono state lacrime, non lo nego, ma tanti sorrisi. Ho anche trovato un uovo di Pasqua ad attendermi da tre mesi sul comodino.

 

Il resoconto di questi mesi di reclusione mi ha preso più spazio di quanto volessi, mi dispiace. Ho capito tante cose mentre ero costretta qui, lontana. Che amo la mia famiglia e i miei posti, che a star lontana più di qualche mese sento che mi manca il fiato. Ho realizzato che ho bisogno di passare tanto tempo lassù tra le mie montagne, il più possibile vicino alla cima a ricaricarmi l’anima, a riprendere le forze e il coraggio per affrontare questi ultimi mesi di università. E poi ho capito che non voglio più dare niente e nessuno per scontato, che voglio davvero bene con tutta l’anima a chi ho intorno e che voglio cogliere ogni occasione possibile per stare con loro.

In fin dei conti siamo sopravvissuti, cosa che per un momento non è stata così scontata. Non ne siamo certo usciti più umani, come sperava qualcuno, ma sembra essere davvero andato tutto bene. Magari qualcuno di noi ha imparato qualcosa da questa lezione che ci è stata imposta dalla natura. Non posso che augurarmi che sia così.

Spero che stiate tutti bene, lo spero davvero. Se vi va, se mi leggete, lasciatemi un commentino per farmi sapere come state, come vi è andato questo periodo. Che ho scoperto che la vicinanza degli esseri umani è più bella di quanto pensassi.

Vi lascio con questa canzone, uscita da qualche mese, che credo sia perfetta per la situazione e con una foto che mi piace, scattata a casa dei nonni. A presto.