Sì ma non ho capito che ore sono lì – diario di viaggio parte 3.

Prima puntata: arriviamo a Las Vegas all’una di notte, troviamo un sacco di vecchi al check-in, rimaniamo delusi dallo Skywalk e soprattutto rimaniamo bloccati nel deserto.

Seconda puntata: la macchina riparte, visitiamo il Grand Canyon, vado in piscina alle sette di mattina, vediamo il punto dove Forrest Gump ha smesso di correre e arriviamo nella ridente cittadina di Page (Arizona).

 

Nell’ultimo post stavo iniziando a farvi la lista delle bellissime attrazioni di Page, nell’ordine in cui le abbiamo scoperte dopo aver depositato i nostri bagagli al Courtyard by Marriott Page at Lake Powell, un nome che ci metti di più a inserirlo nel navigatore che ad arrivarci attraversando tutta l’Arizona, ma comunque.

  1. L’Antelope Canyon, o meglio GLI Antelope Canyon, visto che c’è sia quello superiore che quello inferiore e che sono gestiti da diverse compagnie che hanno diversi prezzi eccetera eccetera. Comunque in linea di massima lo conoscete tutti, è quello dello sfondo di Windows ma ci arriviamo dopo. Noi, in teoria, siamo qui per vedere questo, anche se all’arrivo ancora non sappiamo della divisione in due e il Coso passerà delle buone ore a leggere le recensioni di entrambi prima di concludere che si va a quello superiore che la luce è migliore e altre cose da fotografi.
  2. Il Lake Powell, che sinceramente visto solo da lontano era anche carino comunque alla fine è solo una gigantesca diga che sfrutta l’ennesimo canyon.
  3. L’Horseshoe Bend, reso famoso da Instagram negli ultimi anni. Anche di questo parleremo dopo in dettaglio.
  4. Una sola via principale costellata di chiese, letteralmente solo chiese, ne abbiamo contate una trentina. Una dopo l’altra, come se fossero negozi di scarpe in Corso Buenos Aires a Milano, proprio non so cosa dirvi.
  5. Innumerevoli poligoni di tiro dove portare i bambini a sparare o a fare altre esperienze mistiche come il quad nel deserto e quelle cose là.
  6. Una via che, distaccandosi da quella principale straripa di ristoranti (italiani soprattutto) deliziosamente tutti chiusi tranne il classico Subway.

 

Mercoledì 14 novembre, ore 17, località varie. Prima proviamo l’Antelope Canyon, ma le ultime visite della giornata sono già partire e quindi non ci resta che tornare indietro, ripercorrere la via di chiese e andare a cercare l’Horseshoe Bend in mezzo al deserto nella speranza di vederci il tramonto. Le aspettative erano alte e sono state, per quanto mi riguarda, ampiamente deluse. Questo è forse uno dei pochi luoghi che non mi hanno emozionata come mi aspettavo in tutto il viaggio.

A quanto mi dicono è stato reso famoso dai social ed è sui social che dovete cercarlo se volete trovare delle foto decenti che lo rappresentino, perché a me non ne è venuta nemmeno una. Tendenzialmente troverete per il 90% foto al tramonto ultra-saturate, perché altrimenti davvero non rende. Nella realtà è solo un grandissimo buco con un fiume che scorre, certo è tutto enorme, ma purtroppo non è stato in grado di battere le bellezze del Grand Canyon e della Monument Valley. Non so se andando lì mi aspettassi di trovarlo saturato come su Instagram o cosa. Fatto sta che sono rimasta piuttosto delusa perché mi aspettavo qualcosa di più.

Dopo esserci goduti il tramonto siamo andati a vedere il parcheggio sopra il lago e poi ce ne siamo andati da qualche parte a cena, probabilmente Subway che ci ha decisamente salvati per tutto questo tempo.

 

Giovedì 15 novembre, ore 9, sempre Page. Durante la colazione il Coso mi fa il regalo di rovesciarmi addosso una tazza di latte bollente, così la partenza ritarda, ma comunque siamo i primi a entrare nell’Upper Antelope Canyon e a goderci il sorgere del sole al suo interno. Insieme a una comitiva di cinesi sproporzionata. E a tratti un po’ rimbambita. Il canyon in sé è stupendo, le foto non vengono magnifiche proprio perché purtroppo c’è sempre qualcuno in mezzo. Qui una uscita miracolosamente integra e bella.

 

Ecco, spero che ora possiate capire cosa intendo quando dico che è quello dello sfondo di Windows. Comunque giù nel canyon è davvero tutto bellissimo, i colori sono incredibili, sembra di essere in un momento sospeso senza tempo e senza spazio. Poi si riemerge in maniera piuttosto buffa ed è tutto finito. Senza visitare le trenta chiese, ma mandando un bacino a Subway, ci avviamo verso la prossima meta.

 

Ora, seguendo maps ci fermiamo a fare un’allegra pausa per provare il McDonald’s autoctono e vedere se effettivamente è meglio di quello italiano. Il verdetto è che la carne rossa è molto più buona, mentre il pollo fa schifo. Come tutto il resto del pollo in America. Non prendete mai niente a base di pollo se vi capita, sa di antibiotico. Pregiudizio mio? Forse.

Comunque, durante la passeggiatina post pausa per andare all’ufficio informazioni locale, incontriamo un simpaticissimo vecchietto che ci istruisce un po’ sulle strade sterrate locali. Quella che ci interesserebbe, che porta a un altro posto instagrammaibile, è chiusa per una frana e ci servirebbe anche un permesso per andarci. Però ce n’è sempre un’altra, che attraversa le colline rosa, grigie, bianche e rosse (non sto scherzando) e che porta più o meno esattamente dove dobbiamo andare noi, a Bryce Canyon City (che fantasia).

Prendiamo quindi la sterrata, attraversiamo colline di tutti i colori, vediamo altri canyon, perché in questo viaggio mancavano. Uno dei due proprio non mi è piaciuto, mi ha dato un senso di oppressione talmente forte che ho finito per avere un attacco di panico nel bel mezzo. L’altro invece era carino, il terreno era rosa e l’acqua del fiume che scorreva sul fondo quasi tutta ghiacciata. Emozione della giornata, farci pipì. Il paesaggio che vediamo dalla macchina mentre attraversiamo queste lande dimenticate da Dio è questo.

pink hills al tramondo

 

Finalmente tornati alla civiltà schiviamo per pelo un branco di cervi muli sulla strada. Il primo di tanti, sono ovunque. Facciamo il nostro bel check-in notturno al Best Western Plus Ruby’s Inn e io e il Coso ce ne andiamo in piscina prima di cena. La cosa divertente è che dobbiamo andarci in macchina, perché l’hotel è talmente grande che ci si muove così tra le stanze e i locali piscina/ristorante/reception. Classica americanata.

Per donarvi un altro momento di suspense prima di lasciarvi, concludo così. Usciamo dalla piscina, ci asciughiamo come capita, senza neanche rivestirci torniamo alla macchina dove ci aspetta il papà di Coso per scortarci di nuovo in camera ad asciugarci. E come saliamo ci dice “ora, tenete gli occhi ben aperti e vedrete cos’abbiamo fuori dalla camera”.

 

To be continued.