Sì ma non ho capito che ore sono lì – diario di viaggio parte 5.

Prima puntata: arriviamo a Las Vegas all’una di notte, troviamo un sacco di vecchi al check-in, rimaniamo delusi dallo Skywalk e soprattutto rimaniamo bloccati nel deserto.

Seconda puntata: la macchina riparte, visitiamo il Grand Canyon, vado in piscina alle sette di mattina, vediamo il punto dove Forrest Gump ha smesso di correre e arriviamo nella ridente cittadina di Page (Arizona).

Terza puntata: vediamo un Antelope Canyon, l’Horseshoe Bend, il parcheggio sopra il Lake Powell, facciamo una strada sterrata da soli in mezzo al niente, quasi investiamo dei cervi e poi facciamo il bagno in piscina.

Quarta puntata: io continuo a rimanerci per quanto sono strani i cervi americani. Il Bryce Canyon si rivela una delle più belle scoperte di tutto il viaggio. Ci svegliamo stravolti ma pronti all’avventura nello Zion National Park.

 

Ci siamo. Siamo a Springdale, il panorama intorno a noi è da paura, nello Zion National Park ci sono veramente tantissime escursioni da fare, ma noi siamo esausti e tante di queste suddette escursioni sono consigliate per l’estate. Per farvi capire, è all’interno di questo parco che si trova la Angels Landing, un’escursione difficilissima e credo abbastanza pericolosa che è possibile abbiate visto su Youtube. Se invece non l’avete mai vista vi lascio qui il link di un video così potete farvi un’idea. Ammetto che sarebbe stato bello fare un percorso del genere ma non eravamo veramente abbastanza in forma quindi ci siamo limitati a una passeggiatina di un’ora (tra andata e ritorno) verso un bellissimo punto panoramico da cui si vedeva la vallata.

Come promesso dalla guida la camminata non è per nulla impegnativa, certo è in salita ma niente di infattibile e senza grandi precipizi terrificanti. Un punto bellissimo è una sorta di grotta che il sentiero attraversa e dalla quale si vede la vallata, ma ovviamente nessuno di noi l’ha fotografata in maniera decente. Se volete darci un’occhiata su google, il sentiero dovrebbe il Canyon Overlook Trail, ma non ci sono molte fotografie che ritraggano quello di cui sto parlando.

Una volta arrivati al punto panoramico ci si presenta davanti uno spettacolo. Ma soprattutto: ci sono gli scoiattolini. Sono ovunque e sono tantissimi. Avete presente i chipmunk, quelle adorabili creaturine che si vedono anche nei film? Ecco, loro. Sono minuscoli, corrono da tutte le parti a velocità incredibili e si avvicinano a chiunque faccia rumore di sacchetti di cibo. Ne sono uscita innamorata, che ve lo dico a fare? Purtroppo rimangono comunque abbastanza selvatici da non lasciarsi toccare, e mi sembra superfluo specificare che da noi non hanno avuto nessuna schifezza poco salutare da mangiare. Però ne avrei portati un paio a casa, ecco.

Comunque, lasciando perdere i dettagli faunistici che stanno sempre più prendendo il sopravvento su questo diario di avventura, ecco qua la foto del paesaggio che si vede dal famoso punto panoramico quando non si è impegnati a guardare gli scoiattolini. Si ringrazia sempre il Coso per la bella foto con i colori tutti sfasati perché lui deve scattare in .raw.

Foto del panorama

Dunque, felici della nostra camminatina ce ne torniamo a Springdale (per la stradina che si vede in foto). Perdiamo qualche ora in un negozio di sassi, ebbene sì. Dal Bryce Canyon in poi i negozi di sassi sono diventati straordinariamente comuni. Sassi a mezzo dollaro, quattro sassi per un dollaro, sassi più grandi per più dollari. Inutile dire che ci diventiamo scemi. Tant’è che appunto, ci perdiamo qualche ora a rigirarci sassi tra le mani e decidere “quale portare alla mamma”. Sassi.

Dunque ci avviamo verso Las Vegas, tocca tornare lì anche se non ne abbiamo nessuna voglia dopo aver visto tutte le meraviglie che l’America vera aveva da offrire. Ci fermiamo dopo cinque minuti a Grafton, città fantasma. Niente di spaventoso, semplicemente un paesino di quattro case dove non vive più nessuno. C’è un cimitero, ci sono i cartelli che spiegano quando i coloni sono arrivati e perché se ne sono andati. La pagina di Wikipedia non è così esaustiva, io non ricordo moltissimo, quindi purtroppo non posso dirvi molto di più. Solo che è stato strano e allo stesso tempo malinconico essere lì a passeggiare tra case che una volta erano abitate, entrarci, immaginare come doveva essere. Highlight della gita: il cartello che segnala che “se c’è una nuvola di polvere enorme dietro di te stai andando troppo veloce”.

Dopo questo ci avviamo davvero e davvero a malincuore verso Las Vegas. Quando siamo arrivati il primo giorno ci sembrava incredibilmente bella. Un sacco di palazzi e di luci, l’hotel a forma di piramide, i casinò. Dopo aver gustato i paesaggi immensi e liberi dei canyon non ne abbiamo proprio voglia. Premio di consolazione per la cena, in una tavola calda messicana dispersa da qualche parte. Miglior pasto di tutto il viaggio (insieme a quello nel primo hotel, a Flagstaff).

 

Domenica 18 novembre, Las Vegas, Nevada. Freschi e riposati ci facciamo un giretto per la città col solo scopo di vedere le cose che si vedono in televisione. Quindi ce ne andiamo al Bellagio per vedere lo spettacolo delle fontane (bellissimo, c’è da dirlo), poi entriamo al Caesar’s Palace dove hanno girato Una notte da leoni, andiamo a vedere il banco dei pugni e siamo praticamente contenti così. Io mi prendo la maglietta dell’Hard Rock, di rito, mi faccio una giocata al casinò perdendo nel giro di tre secondi e poco altro. La giornata è sostanzialmente dimenticabile. Las Vegas è una città finta, costruita apposta per fare soldi, e una volta che te ne rendi conto finisce la magia.

La mattina dopo, con tutta calma, ce ne andiamo. Lascio l’America con un po’ di malinconia. Alla fine, gli americani non sono molto diversi dai canadesi, in quanto a simpatia e cortesia, sono solo un po’ più folli e hanno un po’ meno vantaggi. Tipo gli ospedali gratuiti. Il viaggio in sé è stato fantastico, un’esperienza che valeva la pena fare. Tralasciando Las Vegas, quello che ho visto è incredibile e me lo porterò dentro per sempre. L’unica cosa che mi dispiace è non aver avuto occasione di conoscere veramente qualche persona, di non fermarmi più di un’oretta per posto perché non c’era tempo.

Sono bastati sette/otto giorni per renderci conto che quello che dicono è vero. L’America è una terra di contraddizioni, come forse lo sono un po’ tutti i posti non troppo uguali a quello dove viviamo. Nonostante questo, non vedo l’ora di tornare.

Se qualcuno per caso avesse letto tutti e cinque i post ha vinto una caramella per la pazienza.