Perché me ne sono andata?

Ed eccoci qui con la solita rubrica: post che avrei dovuto pubblicare mesi fa. Questo è di novembre o forse addirittura ottobre.

Qualche anno fa il mio nonnino ha deciso di fare una cosa folle: ha comprato un pc e ha imparato ad usarlo. Gli hanno detto che forse non era una buona idea, gli hanno chiesto se era proprio sicuro, se pensava di potercela fare; e lui è stato zitto e ce l’ha fatta.

Così ho il piacere di trovare mail da parte sua contenenti fotografie appena scattate a casa, come per esempio questa, scelta da mia nonna in persona.

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(In caso qualcuno se lo stesse chiedendo si tratta del Lago di Tovel, per tutto il resto c’è Google)

 

Ad ogni modo, me ne sto seduta nella mia bella casetta a Milano in mezzo alla nebbia, guardando queste immagini con il male al cuore perché mi manca casa, sempre.
Sto anche rileggendo i primi post che ho pubblicato per correggerli e mi rendo conto di quanto tutto sia cambiato, di quanto quella mancanza che sentivo così forte ora sia un po’ più calma, più sopportabile, anche se sempre presente. Perché mi sono messa a rivedere cose scritte anni fa? Perché mi sono finalmente rassegnata al fatto che non c’è niente di male se qualcuno che conosco di persona legge quello che scrivo.

Colgo l’occasione quindi, rassegnata all’idea che questo blog parla di me e non può essere altrimenti, per rispondere alla grande domanda della mia vita. Quella che mi fanno tutti, sia quelli che mi conoscevano e che mi incontrano per strada per caso dopo anni che non ci vediamo, sia quelli che mi conoscono da poco e scoprono che no, non sono esattamente di Milano: perché me ne sono andata?

 

Ero qualcuno che non volevo essere.
Non mi piaceva niente di me, né il mio aspetto esteriore, né il mio carattere.
Ero timida da fare schifo, avevo paura di stare in compagnia di chi non conoscevo e mi andava bene anche stare da sola pur di non dover avere a che fare con chi avevo intorno. Ed ero anche terribilmente scontrosa, nel tentativo di difendermi dagli altri. Mi dispiace, sia perché a causa di tutto questo non ho mai potuto trovare un’amicizia vera e duratura a parte quella con E., sia perché sono stata un’amica/una figlia/una nipote terribile.

Non ero me stessa.
Ho cercato per anni di essere quello che erano gli altri, senza mai riuscirci. Già ai tempi delle medie volevo solo essere come tutti, ma non so perché non ci sono mai riuscita. Io non ero come loro punto e basta, ma forse per timidezza, forse per paura, non sono mai riuscita a fregarmene ed essere me stessa. Cambiare radicalmente è stato un rischio enorme e ne sono consapevole, ma ora ho intorno persone che riescono ad accettarmi per quella che sono, che è la cosa più importante per me.

Volevo crescere.
Avevo paura che rimanendo nei dintorni di casa, magari facendo l’università a Trento, non sarei mai riuscita a prendere una decisione e ad andarmene, in futuro. Volevo più libertà, volevo capire quali responsabilità mi avrebbero attesa nel mondo fuori dalle quattro mura che mi hanno cresciuta. Non immaginavo che quest’esperienza mi avrebbe fatto capire quanto tengo ai miei genitori, con i quali all’epoca litigavo ogni giorno, o quanto io fossi fortunata a tornare a casa da scuola trovando il pranzo pronto e i piatti della colazione lavati.

Questi, più o meno brevemente, sono i motivi che mi hanno spinta a fare la valigia e andare. Non immaginavo che sarei finita ad amare questa vita e questa città, che mi fa credere nei miei sogni molto più di quanto non facesse il bellissimo posto che ancora chiamo casa.

 

Il cambiamento fa paura, lo dicono tutti, l’ho sempre sostenuto anche io. Eppure il cambiamento è bellissimo.

Da un giorno all’altro sono passata dall’avere una casa, delle sicurezze, al non avere più niente. Una domenica pomeriggio di settembre mia madre, mio zio e mia sorella mi hanno accompagnata a Milano. E sembrava una gita qualsiasi (io a Milano ci venivo spesso comunque ma non credo sia il caso di mettersi a spiegare perché) finché loro non se ne sono andati. Io no.

Io sono rimasta sola, completamente, in una città enorme che non avevo mai veramente visto. Ho avuto paura di perdermi in metro, paura di rimanere senza un solo amico con cui confidarmi. Poi mi sono buttata e piano piano ho cominciato a vivere come volevo io, a smettere di nascondermi e ad essere me. E sapete cosa? Stavo bene con me stessa, per la prima volta. A quanto pare anche gli altri l’hanno notato e hanno cominciato ad apprezzarmi, a starmi vicino, a volermi bene.

Sono passata dall’essere una persona chiusa all’essere il pagliaccio del gruppo perché ho scoperto che non c’è niente di più bello al mondo che vedere le persone ridere grazie a me. Sapere che anche solo per pochi secondi qualcuno sta bene per te. Sia per una battuta pessima che perché sono talmente imbecille da cadere dalle scale.

 

Già che ci sono, rispondo anche alle altre solite domande.

Ti trovi bene? Meglio di quanto io mi sia mai trovata al mondo.

Ma non ti mancano le montagne? Più di quanto io possa dire a parole.

Se potessi tornare indietro lo rifaresti? Mille volte.