Perché Metro 2033 è un libro di merda ma meraviglioso.

E’ un libro che volevo leggere da un po’ di tempo, poi finalmente ne ho avuto l’occasione ed ora che l’ho finito vorrei fare la lettrice contrariata pubblicamente. Vi avviso da subito: SPOILER.

Prima di tutto, cos’è Metro 2033?

Un romanzo di quasi 700 pagine dove l’ennesimo eroe poco più che adolescente deve salvare il mondo dalla rovina. Ed è pure una versione moderna di “Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister” secondo me.

Il protagonista, il russissimo Artyom, vive nella metropolitana di Mosca, perché sì, siamo nel 2033 e l’intero mondo è stato distrutto da una non meglio descritta guerra atomica. Insomma, in superficie ormai vivono solo bestie strane, mentre i pochi umani sopravvissuti se ne stanno comodamente nelle loro “città – stato” che una volta erano comunissime fermate. Il primo problema sorge dal fatto che il caro Artyom è un personaggio estremamente stupido. Ha vissuto per qualche anno in superficie prima della guerra, poi è sceso nella metro con la mamma, ma durante un attacco di ratti giganti (già, ratti giganti) tutti gli abitanti della sua stazione vengono uccisi, a parte lui e quello che diventerà una sorta di padre adottivo, che riesce a salvarlo e lo porta con sè alla VDNKh (altra fermata). Si dà il caso che questa sia una fermata “di confine”, l’ultima abitata sulla linea. Così un bel giorno, il piccolo Artyom decide di andare a farsi un giretto a nord, dove non vive nessuno, così da poter uscire a vedere il cielo, assieme a due cari amici e con un fucile vecchio di secoli che ovviamente non funziona. Sfortunatamente, mentre il bambino sta ammirando l’infinito leopardiano e l’amor che move il sole e le altre stelle, un ululato agghiacciante lo riporta alla realtà e i tre fuggono per tornare nella stazione. Colpo di sfortuna: la porta non si chiude più. Ovviamente non diranno niente a nessuno e dimenticheranno l’accaduto.

Passano gli anni e delle strane creature simili ad “esseri umani al contrario” (meglio conosciuti come Tetri) cominciano ad avvicinarsi alla VDNKh. I soldati di guardia non ci pensano due volte e aprono il fuoco su questi orribili esseri ogni volta che arrivano a tiro della mitragliatrice.
Un bel giorno, proprio mentre Artyom è di guardia all’ultimo posto di blocco prima del nulla totale, alcune di queste belle creature attaccano, ma come sempre vengono respinte. Novità: alla stazione è arrivato un soldato di quelli veri, venuto da chissà dove, che dice di chiamarsi Hunter. Costui, dopo un meraviglioso discorso sulla futura fine dell’umanità intavolato con il salvatore di Artyom (che è un pezzo grosso), si apparta a parlare con il ragazzo e propone una sorta di scambio di segreti. Così, il protagonista racconta per la prima volta la storia di quando ha fatto l’idiota da bambino, guadagnandosi una grande responsabilità (ma nessun grande potere): se Hunter non dovesse tornare dalla missione che ha intenzione di intraprendere (ovvero andare di persona a controllare cosa sta succedendo), dovrà mettersi in marcia e cercare aiuto alla Polis (un insieme di stazioni molto più benestanti delle altre, nonché ultimo baluardo della cultura).

Inutile dirlo, Hunter parte per non tornare mai più, così tra una scusa e l’altra, Artyom prende e se ne va dalla VDNKh intraprendendo un viaggio che dura qualcosa come 600 pagine.

Cose da non crederci: le gallerie hanno vita propria, alcune inghiottiscono le persone che viaggiano da sole, in altre ci sono tubi dai quali fuoriesce un rumore che uccide tutti tranne il protagonista e molto altro. Di per sé il viaggio fino alla Polis durerebbe pochissimo se non fosse che l’Anello (ovvero la metro circolare di Mosca di cui sinceramente non comprendo l’utilità) è controllato da una sorta di nuova “Lega Hanseatica” e che la Linea Rossa è in mano a persone poco carine (basti notare che si chiama linea ROSSA). Sopravvissuto a ben due gallerie dove i tubi uccidono il suo nuovo compagno di viaggio, Artyom conosce il primo di una serie di personaggi divertentissimi: una sorta di filosofo/mago che sostiene di essere l’ultima incarnazione di Gengis Khan. Arrivano in una stazione controllata dalla mafia che viene attaccata, scappano, finisce in mano ai nazisti ma viene salvato dai seguaci di Che Guevara, portato dall’altra parte della metro rispetto a dove deve andare, scommette nella speranza di riuscire ad avere un visto per passare dall’Anello, perde e finisce a pulire bagni pubblici ma scivola in una latrina, scappa, riprende il viaggio ma tutti lo evitano perché puzza, viene salvato dai Testimoni di Geova che non riescono ad intortarlo a dovere quindi riprende il cammino e finalmente arriva alla Polis. Qui chiede di Melnik come promesso a Hunter e scopre che questi è addirittura uno stalker (quelli che escono dalla metro per cercare cibo e chiudono le porte quando rientrano). Viene indetto un super consiglio per decidere se intervenire ma i generali a capo di esso sostengono che Artyom sia un mezzo drogato che ha avuto addirittura delle allucinazioni quindi vorrebbero rimandarlo a casa. L’altra metà del consiglio, costituita da eruditi, gli dà però una possibilità. Dal momento che secondo loro il protagonista è una sorta di veggente, decidono di mandarlo nella mega biblioteca sopra la loro stazione per cercare il libro magggico che svela il futuro. In cambio gli consegneranno un foglietto dove è scritta la soluzione a tutti i suoi problemi.

E allora salgono in superficie, “Non guardare il Cremlino che le stelle sulle torri sbrilluccicano perché dei demoni sono intrappolati al loro interno”, Artyom guarda il Cremlino comunque e a momenti lo perdono, entra nella biblioteca, litiga con i “bibliotecari”, ovvero creaturine poco amichevoli, cerca il libro, gente che muore, il libro non si sa nemmeno se esiste davvero ma siccome l’amicone sta morendo gli lascia il foglietto e gli dice di scappare. Nonostante il caos generale il povero ragazzo viene spedito a piedi nella Mosca distrutta dai bombardamenti per farlo arrivare in una stazione più sicura dove deve aspettare che Melnik lo vada a prendere, si ferma in una casa a caso che ovviamente è casa sua, dove trova una foto di sua madre, caos generale, arriva, riparte.

Succedono tante altre cose, tipo che una volta tornato nella metro viene quasi mangiato dai seguaci di un certo Grande Verme, poi finalmente riesce a tornare in superficie per salire su una torre per dare a Melnik le coordinate per far partire i razzi che distruggeranno i Tetri e salveranno la VDNKh che sta lentamente soccombendo.
Arriviamo così alla scena finale; Artyom è sulla torre e sta osservando il nido del Tetri dall’alto, i razzi partono, tutto è risolto ed ecco che lui realizza che le povere creaturine non hanno mai voluto far male a nessuno, anzi scendevano nella metro nella speranza di diventare Paris Hilton’s next bff con gli esseri umani. E muoiono.

 

Perché è un libro di merda: prima di tutto è scritto in maniera davvero elementare, con pochissime descrizioni. Le stazioni, i personaggi, sono tutti uguali, hanno pochissimi segni distintivi. Delle gallerie viene detto praticamente solo che sono davvero tanto buie. I dialoghi poi, sembrano scritti da un bambino, anche quando si tratta di monologhi sulla fine dell’umanità.
Il finale ti lascia un po’ così, non si capisce se è geniale o tremendamente stupido, ad ogni modo leggerò Metro 2034 appena possibile per deciderlo.

 

Perché è meraviglioso: i concetti. Saranno anche espressi male, ma ci sono e sono bellissimi. Una terza guerra mondiale in cui l’uomo distrugge la terra, la fine dell’umanità, la fine della cultura, l’importanza/la non importanza del tempo, del prima. Il modo di trattare il diverso, le religioni che si vengono a creare e quelle che rimangono (c’è una stazione di Testimoni di Geova).

 

Tirando le somme, credo di poter perdonare la scrittura pessimina di Dmitrij Gluchovskij, giusto giusto perché fa riflettere quanto basta. In fin dei conti, con il capitolo bonus pubblicato 10 anni dopo ha dimostrato che di scrivere è capace eccome.

Vi lascio con questa immagine tratta dal videogioco (che voglio comprare quanto prima comunque).