Sono stata 300 metri sottoterra (e sono ancora viva).

Sono viva. Avrei dovuto scrivere già ieri pomeriggio, ma mi sono resa conto di essere troppo stanca per stare davanti ad uno schermo.

Sono stata 300 metri sottoterra e poche ore dopo ero di nuovo a casa mia a Milano.

Prima di arrivare a questo, però, c’è molto altro da dire, dal momento che sono sparita praticamente per due mesi, come mio solito in periodo esami. Che poi, non so se succede anche a voi, ma io quando studio ho sempre tantissima voglia di scrivere libri interi, poi quando invece avrei il tempo non so mai che dire.

Ad ogni modo, parlando di sessione, com’è andata? Direi benissimo. Vi presento orgogliosamente il mio prima 30 ufficiale, che ha dato inizio al mese di sofferenza che è stato gennaio. È stato l’esame più soddisfacente della mia vita, non tanto perché sapere di sapere è meraviglioso, ma perché è magnifico trovarsi davanti una persona che non si limita a farti domande per sentirti rispondere come un pappagallino che ripete quello che ha spiegato, ma che vuole opinioni tue, ragionamenti.

Ha seguito, purtroppo, una mazzata in lingua tedesca, che comunque non avrei concluso (perché da me, purtroppo, gli esami si fanno a parti).

Poi mi sono ripresa ampiamente finendo lingua inglese 2, il maledetto, quello che mi portavo dietro da maggio dell’anno scorso (anche lì sono qualcosa come 6 parti diverse, non finisce più) e letteratura inglese 2 con un bellissimo 29 che mi fa morire di soddisfazione.

Ho scritto un post qualche settimana fa, ma poi ho cambiato idea e l’ho cancellato, quindi riassumo: ho passato dei momenti terribili in cui non sapevo cosa fare, ero terrorizzata dall’idea di fallire miseramente e sono stata davvero tentata di chiamare mia madre piangendo ad un certo punto. Ecco, direi che in questi due mesi ho pianto un sacco, tra paura, stress e chissà che altro. Ho pensato di mollare più di una volta, perché in fondo lo sappiamo tutti, lasciar perdere e non provare è il modo migliore che si ha per non rischiare di fare schifo.

Solo che poi io non sono mai stata quel tipo di persona e sono felice di aver dimostrato a me stessa prima che agli altri che io sono in grado di farcela, se ci metto impegno. Comunque la cosa più bella rimane mia nonna, che, dopo aver appreso del 30 da mia madre, ha preso il cellulare ed è corsa dalla parrucchiera per chiederle di mandarmi un messaggio per farmi i complimenti.

 

Dopo di che, il 14 febbraio ho inaugurato la settimana del cazzeggio, che si concluderà domani, in cui a parte seguire qualche lezione non ho fatto assolutamente niente.

Quale occasione migliore per tornare a casa qualche giorno?

No, non mi sono accontentata; mi sono portata Serena. Non pensavo che potesse essere così bello portare qualcuno che conosci e a cui vuoi bene a conoscere i tuoi luoghi. Comunque, partenza alle 9 dalla nebbiosa Milano, momento umboxing in macchina perché da brava zia adottiva mi ha fatto un regalo per il mio compleanno (che è bellissimo) e poi ho dovuto sfoderare le mie doti di babysitting con il mio cuginetto adottivo. Per la prima volta in vita mia ho ringraziato il cielo di aver iniziato a giocare a minecraft, almeno ho intrattenuto il pargolo per qualche ora.

Ad ogni modo, la cosa più bella è stata prendersi la mattinata di lunedì per farsi un giretto in quel di Melinda, che può darsi diventi un’amicona di Buck e il terremoto. Anche se, lo so, lupi e mele non hanno molto in comune, ma la nostra Serena ovviamente è sempre una fabbrica di idee.

È proprio grazie a Melinda che siamo andate a finire 300 metri sottoterra, in una cava. Come, mele in caverna? Già. Però io sto zitta e non spoilero nulla per ora, anche perché credo che poi Serena scriverà un signor post su tutto quello che abbiamo fatto.

 

È stato un ritorno a casa molto utile, per quanto mi riguarda, e non lo dico solo perché ho avuto occasione di scoprire tantissime cose e passare del tempo con persone meravigliose. Ho passato metà del weekend con il mio papà, anche se andare a farsi un giro al bar con gli amici piace più a lui che a me, è sempre bello vedere un padre oroglioso che indica sua figlia dicendo “Lei ha scritto un libro”. Che poi dettagli che di mio, in Buck, c’è solo un raccontino di due pagine scritto pure male.

Per l’altra metà del tempo sono stata con la mamma e mia sorella (no, non sono separati, solo che mamma lavora un sacco mentre papà il weekend è sempre a casa), abbiamo fatto gossip, riso, e spero di essere riuscita ad aiutarla con una cosa abbastanza importante.

E cosa sarebbe casa senza l’ansia della nonna e senza il cane che impazzisce quando mi vede?

Sì, direi che era tutto al suo posto, tutto come lo ricordavo e come vorrei che fosse sempre, con tutti che sorridono e un bel sole caldo nonostante l’aria fredda di febbraio.

 

Io chiudo qui, che tra qualche giorno scade il termine per la consegna dei racconti per la seconda raccolta di Buck e io non voglio finire di nuovo a mandare il mio alle 23.59 dell’ultimo giorno. Miao.

 

Sì, anche questa foto bellissima l’ha fatta il mio nonnino.